“Fu allevato in Vinegia, et dilettossi continovamente delle cosed’amore, et piacqueli il suono del liuto mirabilmente: anzitanto, che egli sonava et cantava nel suo tempo tanto divinamente, che egli era spesso per quello adoperato a diverse musiche, et onoranze, et radunate di persone nobili il suono del liuto mirabilmente” così scrive Vasari nelle sue vite a proposito degli esordi veneziani di Giorgione.
Con queste parole Vasari descrive la passione del pittore per la musica documentata anche nelle sue opere.
Delle vicende del pittore non si conosce molto. Sono davvero scarne le informazioni biografiche. Ma queste parole sono particolarmente interessanti per una serie di motivi.
Viene sottolineata una dimensione sociale della sua vita che sebbene presente nelle opere riconosciute, non sempre è stata sottolineata.
Una di queste raffigura un cantore . il dipinto Concerto o Davide Cantore, opera data in comodato quinquennale alle Gallerie dell’Accademia, proveniente da una collezione privata ,faceva parte della collezione del patrizio Gabriele Vendramin. Quest’ultimo, membro di una casata ascesa al patriziato a seguito dell’aiuto dato alla Repubblica durante la guerra contro Genova, era inoltre discendente di Andrea Vendramin, doge di Venezia dal 1476 al 1478.
La presenza della Tempesta nella raccolta di Gabriele Vendramin venne annotata nel 1530 da Marcantonio Michiel con la succinta descrizione seguente: “El paesetto in tela cum la tempesta, cum la cingana et il soldato, fu de mani de Zorzi de Castelfranco”,.
L ’esistenza nella medesima collezione di altri due dipinti di Giorgione, la Vecchia e il Concerto, si basa sull’inventario della collezione redatto tra il 1567 e il 1569.
In seguito si rintraccia menzione del Concerto nell’elenco, redatto tra il 1667 e il 1669, della collezione lasciata in eredità dal pittore Nicolas Régnier, costituita proprio al momento della dispersione nel 1657 della raccolta Vendramin, ad opera degli eredi.
L’inventario, redatto tra il 1567 e il 1569, la indica come opera di Giorgione “con tre grandi teste che cantano”, analizzata più puntualmente in un inventario successivo (1601) come “una testa grande e doi altre teste per una banda in ombra come par”
Ma il Concerto nell’elenco, redatto tra il 1667 e il 1669, della collezione lasciata in eredità dal pittore Nicolas Régnier, si legge “un quadro di Giorgione de Castelfranco dove è dipinto Sansone mezza figura del viso quale s’appoggia con una mano sopra d’un sasso mostra rammaricarsi della chioma tagliata con dietro due figure che ridono di lui”.
Il fraintendimento del soggetto si deve alla trasformazione in pietra dell’oggetto su cui la figura centrale poggia la mano, dovuto ad ampie ridipinture antiche L’opera quindi era stata considerata per errore l’immagine di Sansone, costretto a girare una macina dopo la sua cattura.
Le indagini riflettografiche e l’ultimo restauro permettono, invece, di leggere tale oggetto come uno strumento musicale a corda, una lira da braccio del primo Cinquecento vista da tergo con un disegno geometrico in lacca rossa parzialmente visibile lungo i bordi.
Le indagini riflettografiche e l’ultimo restauro permettono, invece, di leggere tale oggetto come uno strumento musicale a corda, una lira da braccio del primo Cinquecento vista da tergo con un disegno geometrico in lacca rossa parzialmente visibile lungo i bordi.
La presenza di questo sturmento ci permette di identificare il dipinto con le “Tre grandi teste che cantano” ricordate come di Giorgione nell’inventario di Gabriele Vendramin (1567-1569).
Il riconoscimento della paternità giorgionesca del dipinto si deve a Roberto Longhi,
La presenza dello strumento ci riporta alle parole di Vasari, che ci parla di un Giorgione musico prima ancora che pittore. La pratica musicale e al condivisione appassionata della tematica amorosa consentì al pittore di partecipare a occasioni sociali organizzati dalle famiglie nobili e potenti di Venezia che divennero suoi committenti
Il proprietario dell’opera ritiene che si tratti di un autoritratto di Giorgione. I tratti del cantore ricordano quelli del personaggio di Davide da sempre considerato un ritratto dell’artista di Castelfranco.
Inoltre gli abiti del cantore ricordano quelli degli ebrei raffigrati da Vittore Carpaccio. Molti sono infatti gli indizi che fanno ritenre Giorgine come membro della comunità ebraica.
Venezia era indubbiamente uno dei luoghi più fiorenti per la tradizione ebraica, per la tolleranza dei suoi costumi e per la raffinatezza della sua cultura. Ma, dai primi anni del 1500, questo elemento si accentua perché, a cagione delle persecuzioni degli ebrei in Spagna.
Oltre il suo autoritratto in veste di David, re simbolo del popolo ebraico considerata una confessione di appartenenza ,non risulta il suo nome nei registri della sua parrocchia come in nessun altro registro a Venezia né ricevette mai commissioni da enti ecclesiastici. Non esiste uno scritto autografo di Giorgione né un’opera da lui firmata. Tutto questo fa propendere alcuni nella sua certa appartenenza alla comunità ebraica di Venezia